La festa dedicata alla Befana è passata da qualche giorno, ma le fiabe restano.
Dal gioco narrativo che Valeria Bianchi Mian ha proposto nel gruppo Facebook “Jodorowsky Italia” sono emerse preziose perle di Tarot Telling. La rubrica THE TAROT TREE ospita oggi: Épiphanie La Force e l’incantesimo della gioia.
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Ai tempi della crociata condotta da Riccardo Cuor di Leone e da Filippo Augusto Re di Francia, in una zona non ben precisata dell’Europa centrale vi erano due Regni piccolissimi, confinanti tra loro, che facevano da cuscinetto tra il grande Regno di Francia e il Sacro Romano e Germanico Impero. È inutile che vi affanniate a cercarli tra le cartine dei libri di storia, tanto tali regni erano piccoli e politicamente poco rilevanti. Ma c’è una storia che ancora oggi si racconta nelle serate d’inverno davanti ai focolari delle famiglie di quelle campagne. Ed è di questa storia che vengo a darvi conto.
Uno dei regni era governato dalla famiglia De Coupe, mentre l’altro dai De Baston. I rapporti tra i due regni erano di reciproca amicizia e di interscambio di beni di ogni genere. Il Re Antoine de Coupe vestiva con un mantello di seta color della porpora, e quando riceveva ospiti nella sala del trono, al posto dello scettro teneva in mano una coppa aperta. Nel suo regno gli affari erano fiorenti, perché lui aveva un cuore generoso e non teneva nulla per sé, in quanto era felice solo e soltanto se vedeva i suoi sudditi felici a loro volta. Spesso Re Antoine scendeva addirittura nelle piazze per accertarsi che i sudditi non avessero preoccupazioni. Nell’altro regno, Re Florent De Baston era un uomo energico e molto attivo: la diplomazia non era il suo forte, se vogliamo era anche un po’ despota, ma di quel genere che siam soliti chiamare “illuminato”. Vestiva sempre con l’armatura e sapeva combattere – era maestro d’armi – e ci teneva ad essere sempre a capofila del suo piccolo esercito quando c’era da difenderne i confini. Nonostante questi tratti ruvidi, il popolo (costituito perlopiù da contadini) l’amava molto perché con lui si sentiva al sicuro. Re Florent aveva poi un debole per l’arte e la fantasia, e a palazzo ospitava volentieri artisti da tutto il mondo conosciuto, e di questo se ne gloriava.
Un giorno di un freddo Novembre, nel mentre che tutti i reami del continente aspettavano notizie riguardo alle battaglie tra Re Riccardo e il Saladino, accadde che entrambi i re morirono improvvisamente e contemporaneamente. Entrambi non avevano né figli maschi né fratelli, e i parenti più prossimi erano tutti partiti con Re Riccardo per la crociata. Per questi motivi la reggenza cadde sulle Regine.
Marguerite De Baton aveva dato molte figlie al suo Re, era una donna briosa, energica e piena di passione, molto attiva e anche un po’ capricciosa. Amava le feste e i ricevimenti, e come il suo regale marito era attratta dall’arte, così tanto da praticarla, nelle modalità della pittura e del teatro, in cui davvero eccelleva. Ma tutto questo, con la morte del Re, finì, perché la volitiva Marguerite cadde in depressione.
L’altra regina, Jeanne de Coupe, era una donna dai capelli biondi e lunghi, di dolce aspetto, molto affettuosa e amante della famiglia, che custodiva (con un po’ di gelosia) i suoi sentimenti, fino ad allora tutti riservati al regale consorte. Dal giorno della morte del suo amatissimo Re prese lo scettro, cioè la coppa, e la sigillò con un coperchio affinché fosse ben chiusa. Prese poi l’abitudine di portar con sé una daga bianca e appuntita, con la quale intendeva tener lontani eventuali pretendenti, chè il suo cuore in lutto era ancora tutto per il defunto marito. Anche la bella Jeanne, come la regina Marguerite, cadde in una profonda depressione.
Venute a sapere del reciproco lutto, le due regine si incontrarono, si abbracciarono e piansero insieme. Il periodo seguente fu triste per entrambi i regni. Come è vero che le energie di un regno si manifestano a immagine e somiglianza delle intenzioni e dei sentimenti di chi lo governa, anche i sudditi iniziarono a soffrire molto. Tutti coloro che ricadevano sotto la giurisdizione dei De Coupe vennero presi da ansie e preoccupazioni immotivate, ci furono svariati casi di ossessione compulsiva, smisero di amarsi l’un l’altro, di aiutarsi vicendevolmente e il tutto fu accompagnato da un drastico calo delle nascite, dei fidanzamenti e dei matrimoni. Anche i sudditi dei De Baston soffrivano, sia pur per altri motivi: iniziarono a sentirsi molto insicuri, mancanti di energia vitale, così tanto che si ammalavano spesso e non avevano più voglia di far figli; in più presero a disinteressarsi delle semine e dei raccolti, sicché sopraggiunse pure la fame… a tutto questo poi si aggiunse la tristezza derivata dal fatto che nel regno non si vedevano più artisti in giro: sia quelli di corte, sia quelli popolari, come i giullari e i menestrelli, non venivano più ad allietare le loro giornate.
Al confine tra i due regni c’era un bosco antico, fitto fitto, ma così selvatico che quasi si poteva dire una foresta. Al centro del bosco non si avventurava mai nessuno perché ci abitava una strega, tal Éphipanie La Force, che – così si diceva – viveva insieme a un leone. Ma si sapeva che era molto saggia, e che era dotata di poteri magici molto particolari.
Le regine dei due regni colpiti dal lutto e dalla tristezza, un anno dopo la dipartita dei loro regali mariti, non sapendo più cosa fare – e vedendo i loro regni come ripiegarsi su se stessi – decisero di farsi animo e di andare a trovare la strega Ephipanìe.
Il giorno del solstizio d’inverno le due Regine si mossero con i rispettivi cortei, e si incontrarono a metà strada, ad un crocicchio dove il bosco iniziava a farsi folto. I cortei avanzarono fra gli arbusti e i rovi, in sentieri stretti circondati da alberi ormai spogli da tutte le foglie. Faceva freddo e non fu facile trovare la dimora della strega, ma a un certo punto un paggio vide il fumo di un comignolo, e i cortei vi si diressero: la flora si diradò per far spazio ad una radura al cui centro c’era una casetta in pietra con il tetto spiovente in coppi di terracotta. Accanto alla porta, su una tavoletta di legno era inciso un numero: XI. L’unica finestra a vista era illuminata dall’interno, probabilmente dal fuoco di un camino. I paggi delle due regine, sorvegliati a distanza dai cavalieri, tentarono di avvicinarsi alla casa, ma un ruggito leonino così potente da far tremare a tutti il sangue nelle vene, li atterrì. Anche le regine ebbero paura. A quel punto si aprì la porta e la strega Éphipanie comparve sulla scena, e disse: “non vi chiedo cosa siete venute a fare, perché già lo so. E so anche di cosa avete bisogno. Ma non si viene in corteo a trovare Éphipanie La Force, sciupando la flora e spaventando gli gnomi e gli elfi del bosco! Se volete il mio aiuto ve lo concedo, ma dovrete venire da sole, senza nessuno ad accompagnarvi. Tornate dunque senza i regali vestiti, portate soltanto i vostri scettri, ovvero la coppa e il bastone. E non abbiate paura! Perché vi avverto: se avrete paura… la mia bestia non perdona! Con lui dovrete essere gentili ma calme, e allora vi farà passare! Vi aspetto all’ora sesta del quinto giorno del prossimo mese.” Detto questo, sbatacchiò la porta dietro di sé, e subito dopo tutti udirono un altro spaventoso ruggito. I cortei regali se ne andarono in gran fretta e tutti quanti rimasero impressionati.
Quell’anno le festività del Natale del Signore passarono meste… e dopo arrivò il fatidico giorno. Le regine, stavolta senza seguito di paggi e cavalieri, si trovarono al solito crocicchio che delimitava l’inizio del bosco. Erano entrambe vestite di nero, e avevano un cappuccio in testa, senza cipria né gioielli di alcun tipo. Avanzarono nel bosco tenendosi a braccetto per darsi coraggio. A un certo punto temettero di non trovar la strada, ma vedendo un ramo spezzato qui, sentendo un canto di fagiano là, riuscirono in qualche modo ad arrivare alla radura. Tra loro e la casa c’era una bestia metà capro e metà leone, invero alquanto mostruosa, che le fissava dritte negli occhi e se ne stava immobile, imperiosa, come ad attenderle. La Regina Marguerite, disse all’altra: “se c’è una cosa che non mi manca, è il coraggio! La strega ha detto di non avere paura e non ne avrò! Tu piuttosto, Jeanne, tremi come una foglia.” Jeanne rispose: “Sì Marguerite, io sono terrorizzata. Ma troverò il coraggio, quello che viene dalla disperazione, perché né io né il mio popolo possiamo andare avanti così. Dammi solo un minuto, un attimo ancora, mi farò forza e sarò pronta ad incedere dandoti il braccio.”
E così avanzarono nella loro sicura coraggiosa… insicurezza, e quando arrivarono a due passi dall’animale, questi si scostò. Poi, la porta della casetta si aprì, la raggiunsero ed entrarono in casa. Anche la bestia entrò con loro e mansueta si accovacciò accanto alla sedia dove la strega Éphipanie sedeva. Le regine scopersero il capo, e la stregà le invitò a sedersi sulle due scranne che aveva preparato accanto al camino.
Éphipanie disse: “Allora mie care, i vostri regni stanno soffrendo, vero? Questo accade perché state soffrendo voi. Tu, Jeanne, c’era da aspettarselo… ma tu, Marguerite, con tutta la tua verve… possibile? Ah, l’amour! Bene, non occorre che mi dite nulla, tanto, come avete ben capito, ho già visto tutto nella mia sfera di cristallo. Nel tuo regno, Marguerite, manca la fiducia e la verve che la famiglia De Baston ha sempre ispirato al suo popolo. E nel tuo regno, Jeanne, manca l’amore, che la famiglia De Coupe si è sempre prodigata di spargere a piene mani. Per questo adesso a regnare non siete più voi ma la tristezza. Sapete? La magia dice che c’è un solo rimedio quando c’è così tanta tristezza. E tal rimedio sono i bambini.”
Le due regine si scambiarono uno sguardo preoccupato. Ma Éphipanie continuò: “E fatela finita, sennò la mia bestia si agita! Non ve li tocco i bambini dei vostri regni, state tranquille. Ma per chi mi avete preso! Io agisco con delicata fermezza, per questo mi chiamo La Force, e come vedete non vi faccio nemmeno parlare perché pesco le parole nel vostro profondo, lì dove avete la pancia. Ma basta con le teorie e torniamo all’incantesimo che ci occorre. Quando regna la tristezza, solo la gioia può porvi rimedio. E la gioia più pura parte dal cuore dei bambini. Ora vi dico cosa dovete fare, ascoltate bene e non sbagliate nemmeno un passaggio. Dunque, andate ai vostri castelli e fate preparare dei biscotti: impastate farina uova e zucchero, fate lievitare, metteteci sopra dei chicchi di zucchero colorati con sciroppo rosso di ciliegia, e metteteli a cuocere in forno; poi, ultimata la cottura, sfornateli e spolverateli con zucchero a velo. Una volta freddati, mettete un po’ di questi biscotti, che chiamerete Befanotti, dentro una calza. Preparate tante calze quanti sono le bambine e i bambini dei vostri regni. Ah, ecco qui, questo è carbone vegetale. Prendetelo! È dolce, non vi preoccupate. Vedete come è nero? Inseritene un piccolo pezzo nelle calze insieme ai biscotti: spiegate ai bambini che il carbone non viene dato loro perché sono cattivi, no no no, mi raccomando! Dite loro che il carbone è il simbolo di quel loro mondo interiore che ora è celato nel mistero dell’ombra, ma che scopriranno a poco a poco quando cresceranno in sapienza, in età e in grazia. Ora andate, questo è l’incantesimo di Éphipanie La Force, che riporterà la gioia dentro al cuore dei vostri bambini, dei vostri sudditi, e anche di voi due! E datevi una mossa, già il meriggio volge al declino ed è proprio stanotte che distribuirete le calze. Le dovrete distribuire voi in persona, non delegate ad altre, e con questi vestiti, affinché non vi si riconosca… che non si venga a sapere che siete le regine! Non dimenticatevi un piccolo ninnolo: una bambola di pezza per le bambine, un giocattolino in legno per i bambini. E infine, ecco un consiglio proprio per voi due: tu Jeanne De Coupe, apri quella benedetta coppa, riapriti all’amore! E tu, Marguerite, tieni alto quel bastone, smettila di usarlo come farebbe un paggio, e che diamine!… sei una Regina. Ora andate, smidollate che non siete altro. E che questo per voi sia UN NUOVO INIZIO.”
Le due regine salutarono la strega Éphipanie, nel mentre che questa, con gentile fermezza, apriva le fauci della sua Bestia, che incredibilmente se ne stava quieta e buona. Le regine andarono via dalla casetta nel bosco e si gettarono in una corsa a perdifiato verso i loro rispettivi castelli. Al crocicchio appena fuori dal bosco si abbracciarono e si guardarono negli occhi, decise a fare del loro meglio!
Ambedue corsero al proprio castello e richiamarono la servitù per fare i biscotti, e si misero di buona lena ad aiutare a far l’impasto. Ad un certo punto, come per magia, ad entrambe apparve la bestia di Éphipanie che teneva stretta in bocca un sacco, che mollò a terra davanti a loro prima di dissolversi nel nulla. Dentro il sacco c’era un mare di calze e di balocchi, tante quante erano le bambine e i bambini del regno. Le due Regine, due ore dopo il tramonto, partirono a piedi per raggiungere tutti i paesi e i casolari sparsi nei loro territori. Si erano truccate con strisce di carbone sulla faccia per non farsi riconoscere e camminavano chine appoggiandosi ad una scopa…
Bussando alle porte, Jeanne De La Coupe, trovò una iniziale diffidenza, ma poi, tirata fuori la calza e i balocchi, vide trasformarsi i volti dei bambini da tristi a gioiosi, e con loro gli adulti, che a quel punto volevano offrirle ricotta, polenta, castagne e un po’ di vino. “Come sono amorosi”, penso la Regina!
Così accadde a Marguerite De Baston, con le famiglie del suo regno. Ad una diffidenza iniziale, si sostituì man mano entusiasmo e allegria, tanto che la regina pensò: “come sono belli vigorosi!”
E così quella notte, la notte detta “della Signora Epiphanie”, le bambine ed i bambini dei due regni ritrovarono la gioia. E con la gioia dei bimbi, ritornò l’amore nel regno di Jeanne, e la verve energetica e artistica nel regno di Marguerite. E tutti… si dai, questa volta finisce davvero così… e tutti vissero felici e contenti!
E questa è la storia magica che si ripete ogni anno la notte tra il quinto e il sesto giorno del primo mese, e si chiama ancora oggi “festa della Befana”, l’ultima dell’inverno che serve a tener gioiosi i cuori fino alla primavera.
(Maurizio Micheletti)
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